
Renato Mambor, nato a Roma il 4 dicembre 1936, era figlio di un benzinaio nel quartiere Tuscolano, un’esperienza che probabilmente lo ispirò a produrre le prime opere d’arte sul tema della segnaletica stradale. Mambor sin da ragazzo strinse amicizie in campo artistico e culturale, molto nota è infatti la sua frequentazione con Mario Schifano, Tano Festa, Jannis Kounellis e altri, con i quali diede vita ad un collettivo conosciuto come Scuola di Piazza del Popolo, dalla piazza in cui erano soliti incontrarsi. Mambor inizialmente è partito dalla pittura per poi diventare uno dei primi artisti d’avanguardia a sconfinare verso altre arti, quali la fotografia, la scultura, il cinema, la performance, le installazioni, il teatro.
Aveva mostrato i suoi lavori pittorici per la prima volta nel 1958, in occasione di un premio, ricevendo reazioni contrastanti per alcuni elementi giudicati troppo d’avanguardia, anche da parte dei suoi stessi amici. Organizzò la sua prima mostra pubblica nel 1959, presso la galleria L’Appia antica, e in seguito espose frequentemente i suoi lavori nella celebre galleria La Tartaruga nel corso degli anni Sessanta. Sempre negli anni Sessanta iniziò a sperimentare prima nella fotografia e poi nel cinema. Prese parte con un piccolo ruolo nel film La dolce vita di Federico Fellini, e durante la sua carriera da attore lavorò con Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Totò, Chet Baker, Damiano Damiani. Sempre in ambito cinematografico, conobbe e si legò sentimentalmente per molto tempo con l’attrice Paola Pitagora.
Nel 1966 si trasferì, insieme a Mario Ceroli, negli Stati Uniti, dove rimase per un periodo a studiare e vedere da vicino la Pop Art di Andy Warhol. Di questa corrente, tuttavia, non amava il tono “chiassoso” e colorato delle immagini.
Negli anni Settanta si trasferì a Milano e lavorò molto in teatro, creando e dirigendo una compagnia teatrale dal nome “Trousse”. Il titolo coincideva con quello di una sua opera in metallo, ma utilizzata in ambito teatrale diventava esemplificazione del suo intento di fornire un “astuccio degli strumenti”, convenzionalmente chiamato proprio trousse, per poter indagare gli aspetti cognitivi, emotivi, nervosi più profondi dell’uomo, collocato in un contesto di gruppo. Si dedicò al teatro fino al 1987, e durante questi anni conobbe una ragazze che divenne prima sua collaboratrice e in seguito sua moglie, Patrizia Speciale.
Tornò nuovamente a dipingere, diventando anche in questo un pioniere rispetto ai suoi colleghi, dopo circa dieci anni. Probabilmente, questa necessità venne elaborata a seguito di alcuni problemi cardiaci, che lo portarono a valutare di concentrarsi su ciò che riteneva davvero importante.
Non appena riprese a dipingere, continuò a lavorare ed esporre i suoi dipinti fino agli ultimi giorni. Morì nella sua casa di Roma il 6 dicembre 2014.
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