Altezza | 100 |
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Larghezza | 120 |
Tecnica | Acrilico su tela |
Anno | 2011 |
Tipo Edizione | Opera unica |
Opera unica di Renato Mambor realizzata ad acrilico su tela cm. 100 x 120 anno 2011
Nasce nel 1936 a Roma.
Esordisce nel 1959, a ventitré anni, assieme a Cesare Tacchi, in mostra con Mario Schifano.
Nell'ambito dei serrati accostamenti d'avanguardia tra Roma (Schifano, Uncini, Lo Savio, Tacchi, Festa, Angeli), Milano (Manzoni, Castellani, Bonalumi), la Francia (Klein e il critico Pierre Restany, impegnato nel sostegno del suo "Nouveau R‚alisme") proposti da Emilio Villa nella propria galleria "Appia Antica". Segue il riconoscimento nel 1960 tra i "Premi di incoraggiamento" della Galleria d'Arte Moderna; le mostre collettive alla Galleria "La Tartaruga" di Plinio De Martiis (1963, 1964 e anni seguenti) che mettono a fuoco la riconoscibilità di un gruppo Mambor, Tacchi, Lombardo, con caratteri distinti rispetto ai protagonisti delle esperienze avanguardistiche romane del momento.
Negli anni Sessanta, dunque, diventa parte integrante della "Scuola di Piazza del Popolo", che fu come la risposta italiana, tra metafisica e futurismo, alla Pop Art americana. Sagome e segnali stradali, ricalchi fotografici, timbri con omini, tele eseguite con rulli da tappezzeria, costituirono la sua cifra di riduzione stilizzata delle icone della cultura massmediale. Ma l’interesse per il teatro lo portò a privilegiare ricerche d’ambiente, con strutture come "L’evidenziatore" (1967), strumento meccanico per agganciare oggetti e spostarli nel mondo dell’arte.
Nel 1975 fonda il gruppo Trousse per perseguire "un teatro fortemente visivo ma attento alle dinamiche psicodrammatiche". Torna alla pittura negli anni Novanta sviluppando temi della percezione ("L’Osservatore", il "Decreatore").
Mambor si è sempre dichiarato pittore e alla pittura torna dal 1987, con il desiderio non più di rintracciare la forma esterna che coincide con il nome delle cose, ma di «ripercorrere il procedimento per cui tale forma si è determinata» (R.M.).
Rintraccia la ‘funzione’ degli oggetti d’uso e i ‘processi di formazione’ degli avvenimenti della natura.
Un tema, nato in teatro nello spettacolo “Gli Osservatori”, torna ad interessarlo: un disegno del suo profilo, ritagliato e applicato al vetro di una finestra che lascia scorgere il verde delle piante, lo induce ad una riflessione sull’osservare, sulla cosa osservata, e sulla possibilità di cambiamento dello sguardo.
Scrive: «Nel ritorno alla pittura dagli anni ‘90 nasce l’ultima produzione in cui l’opera è una figura ambigua. Esiste un’interazione dinamica tra l’oggetto esterno da rappresentare e le strutture concrete della superficie pittorica. Nelle opere di questi anni il piano del soggetto e quello dell’oggetto sono presenti insieme. È l’occhio di chi guarda a scegliere. Il quadro offre un’oscillazione allo sguardo, richiede una mobilità».
La sua immagine di profilo o di spalle, senza volto, è entrata nell’opera. Indica una assunzione di responsabilità dell’esperienza, non un fatto narcisistico.
Può cambiare posizione, ogni spostamento muta intorno l’ambiente.
L’“Osservatore” è in rapporto con coltivazioni di tecniche diverse di pittura.
Il “Riflettore” esce dal quadrato monocromo della tela e lascia dietro di sé un oggetto d’uso.
Il “Testimone Oculare” è posto di spalle davanti a movimenti che rompono un ordine dato.
Il “Decreatore” permette allo spettatore di spostarlo, svelando altri spazi …
Le definisce “Posizioni Filosofiche”.
Mostre in Italia e all’estero presentano opere pittoriche, scultoree, installative, fotografiche, performative, in un percorso di ricerca continua e rinnovata, che mantiene il presupposto della bidimensionalità ma con una direzione di senso.
Dalle “Ombre Immutabili” al “Karma Mutabile”, da “Connessioni” a “Fili”, da “Sprint” a “I Riguardanti” e “Mandala e Gargoyle” la ricerca di Mambor negli anni 2000 crea un «repertorio vastissimo di figure che fanno tutte riferimento ad un universo concettuale che non interpreta la differenza come contrapposizione, denominazione, subordinazione…» (Gianluca Ranzi). Le figure entrano in uno spazio in cui sono “Tutti sullo stesso piano”.
Nel 2007 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, presentato da Achille Bonito Oliva, mostra i “Separé”.
L’artista si lascia osservare dall’opera, creando una circolarità in cui è coinvolto lo spettatore, invitato a dare una nuova interpretazione di se stesso.
Il suo lavoro dagli anni ’90 inizia nel cambiamento che sa operare come uomo, così da poter trasformare anche la sua opera.
«Prima di cambiare le forme dell’arte dovremmo cambiare le forme dei nostri pensieri» (R.M.).
Sceglie la bidimensionalità perché linguaggio della contemporaneità, ma va a investigare una nuova dimensione in cui esiste la trasformazione, il superamento della contrapposizione delle polarità (oggettivo–soggettivo, inquietante–rassicurante, arte–vita …), la consapevolezza che la profondità «si nasconde nella superficie».
L’artista Mambor fa esperienza come essere umano della propria vita perché quella sia un capolavoro, e testimonia il suo stato vitale nell’opera che rimarrà nel futuro. Lo sguardo dello spettatore allenato e rinnovato a diventare Osservatore può leggere la dimensione etica, leggera, vibrante dell’opera di Mambor.
«L’artista non certifica l’esistente ma è colui che pone i semi del futuro» (R.M.)