La mostra curata da Sylvain Bellenger, si snoda in un lungo percorso tra gli spazi interni del Museo e quelli esterni del Real Bosco.
L’artista originario di Terzigno, località alle falde del Vesuvio, classe 1929 è scomparso nel 2006.
Fin da giovanissimo si dedica alla pittura ispirato dalla natura che lo circonda e pronto a carpirne l’essenza: utilizza spesso, infatti, elementi naturali grezzi come: pigmenti maturali, terre, sacco, corde, juta, per produrre atmosfere calde dalle tinte ricercate.
La mostra ripercorre le fasi della sua ricerca creativa, sia in senso cronologico che tematico dagli anni ‘60 fino agli ‘80 Emblema svolge un lavoro intenso sul colore, alla ricerca di equilibri cromatici caratterizzati da tinte pastello e toni che richiamano la natura, aiutato in questo dalle tinte calde della juta grezza, materiale molto caro a Salvatore Emblema.
Tra le opere in mostra spicca senz’altro “Senza Titolo / Terraemotus”, del 1984, imponente opera grande 2,5x4,5 metri realizzata in terre colorate e carbone su tela di juta, realizzata dopo il tragico terremoto del ‘80 che sconvolse la Campania.
Salvatore Emblema. Scatole trasparenti/ricerca sul paesaggio 1969-74.
Scatole in plexiglass ecocompatibili.
Opera esposta al Museo di Capodimonte.
In mostra anche un’opera che l’artista aveva progettato ma non ancora esposto al pubblico, si tratta dell’installazione Scatole Trasparenti (1969-74) esposta nella sala “Incontri sensibili”.
La storia artistica di Salvatore Emblema è caratterizzata da una serie di eventi che ne faranno il grande maestro che poi diventerà.
Nel corso degli anni Cinquanta sperimenta nuovi materiali, passando dalle foglie alle pietre e alle terre vulcaniche, che compariranno nelle opere esposte nelle prime personali, a cominciare da quella del 1956 presso la Galleria San Marco.
Nello stesso anno si reca negli Stati Uniti dove conosce gli artisti della School rimanendo colpito, soprattutto, dalla ricerca di Mark Rothko.
Agli inizi degli anni Sessanta vive tra Roma e Napoli. Lavora come scenografo a Cinecittà realizzando interni per numerosi film, tra i quali La strada di Federico Fellini.
Nasce in quegli anni una serie di opere caratterizzate da una profonda istanza materica. Nella seconda metà del decennio vedono la luce le prime “tele nude”, incorniciate da fasce di colore.
Lo spazio reale e quello pittorico coesistono in una matrice unica e si esaltano l’un l’altro.
Serigrafia di Salvatore Emblema nella Galleria Morra Arte Studio
È un ulteriore passo verso quella che sarà la sua conquista più personale: la “Trasparenza”, canonizzata da Giulio Carlo Argan nel 1979.
Le tele “detessute”, come le definisce Palma Bucarelli, sono l’oggetto di numerose esposizioni durante tutto il corso degli anni Settanta.
Quel grande fermento creativo culmina nel 1979 con due importanti esposizioni: a Ferrara, al Palazzo dei Diamanti, e a Napoli alla Villa Pignatelli.
Nel 1980 e nel 1982 partecipa alla Biennale di Venezia.
Gli anni Ottanta segnano altre importanti tappe.
Un suo autoritratto sul tema della trasparenza è scelto da Argan per la collezione degli Uffizi di Firenze, tiene personali alla galleria comunale di Cesena (1981) e al Palazzo Reale di Napoli (1985).
Nel 1982 tiene una mostra al Museo Bojmans di Rotterdam, dedicata al suo lavoro ambientale.
Negli anni la pittura di Emblema è andata acquistando in scioltezza, agilità compositiva e urgenza di esecuzione: il rapporto tra la luce, la materia e gli elementi fondanti della pittura si è sviluppato per semplificazioni successive, secondo le regole di una “matematica emotiva”, definizione proposta dal critico israeliano Amnon Barzel.