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12 Luglio 2018

I cinque pilastri su cui fondare la tua cultura “popolare” dell’arte

Irriverente, dissacrante, colorata e soprattutto popolare: l’arte che fa del consumismo e della riproducibilità i suoi cardini in realtà nasconde un universo mai uguale a se stesso e una poetica tanto più intimista quanto sfacciata.
Figlie legittime di un linguaggio aggressivo e impersonale, restituiscono ai natali la loro più aspra critica: ecco le cinque opere più loquaci e rappresentative senza le quali non puoi dirti cultore del genere.

Ragazza che annega

(Roy Lichtenstein – 1963) Non solo riproducibilità ma… anche cliché: una donna che annega nelle sue lacrime, melodramma allo stato puro, ribaltato da un poco velato volersela cavare da sola. Non solo massificazione ma vera e propria rivoluzione culturale.

Flag

(Jasper Johns – 1954) Perché dipingere una bandiera americana? non di certo per patriottismo: Johns voleva riprodurre qualcosa che fosse conosciuto da tutti, “things that mind already knows”, così da potersi concentrare sul modo della sua realizzazione e la sua lavorazione manuale, perché, più del contenuto, quello che conta è la forma. Perché un quadro è pur sempre un quadro!

Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing?

(Richard Hamilton – 1956) Una scena d’interno di un realismo spaventoso che diventa il racconto visivo della nuova società del benessere. Il reale nell’arte torna imponente in modo concreto, essendo difatti l’opera un collage di elementi provenienti da diversi magazines americani. Volti conosciuti, elettrodomestici d’avanguardia, il mezzo diventa icona e la comunicazione regista di una cultura accessibile.  

Do It yourself

(Andy Warhol – 1962) Avete presente i giochi da ombrellone? Ebbene, Warhol stampa sulla tela un pattern prefabbricato diviso in aree da colorare in base a una corrispondenza numero-colore, e ne riempie alcune sezioni per poi interrompere il lavoro a metà. Perché? Perché l’arte, in fondo, non ha niente di sublime ma…può aiutarti a riempire un vuoto!

Mimmo Rotella

Non vi dirò di uno dei suoi quadri, ma del suo genio: istrionico e solare, interpretazione peninsulare di un movimento mondiale. Famoso per essersi inventato una forma d’arte che lui stesso chiamò il décollage, e per la sua passione per Marilyn Monroe, che lui pronunciava con il forte accento calabrese che lo connotava, si guadagnò l’appellativo di “strappamanifesti”.
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